Prenderà il via il 17 settembre a Stresa il 2° European Working Group on Rett Syndrome, una tre giorni di interventi e dibattiti sulla sindrome di Rett, una grave malattia neurologica che colpisce le bambine, impedendo loro di camminare, comunicare, di aprirsi al mondo. I sintomi non di una, due, ma di tante malattie tutte assieme: autismo, paralisi cerebrale, Parkinson, epilessia, ansia.
Al meeting, promosso dall’Università dell’Insubria e dall’associazione pro RETT ricerca Onlus, che raggruppa familiari di bambine malate, parteciperanno alcuni tra i maggiori esperti mondiali della malattia e del gene MECP2, il principale imputato.
“In questi ultimi anni la ricerca sulla sindrome di Rett ha fatto passi da gigante, forse come in nessun altra patologia nervosa”, dice Nicoletta Landsberger (a destra nella foto sotto), docente dell’Università dell’Insubria, coordinatrice scientifica del meeting. “Solo quindici anni fa la malattia era a malapena citata nei testi universitari: poi, nel ‘99 è stato scoperto il difetto di un gene molto importante, situato sul cromosoma X e implicato nella trascrizione genica e nello sviluppo delle comunicazioni tra i neuroni. Sono stati quindi portati alla luce meccanismi e funzioni della proteina codificata dal gene, difetti in un secondo, un terzo gene, e due anni fa si è riusciti, nell’animale, a far regredire i sintomi ripristinando il gene difettoso.”
Rita Bernardelli, presidente di pro RETT ricerca , sottolinea come tutto questo sia stato possibile grazie all’impegno delle associazioni di genitori, che in tutto il mondo stanno sostenendo e spingendo la ricerca. “Senza di loro la ricerca non si sarebbe avvicinata così tanto a una malattia rara come la sindrome di Rett, e mai avrebbe ottenuto questi risultati. Nell’ottica utilitaristica odierna, infatti, le malattie rare sarebbero destinate a non essere prese in considerazione: chi investirebbe in tecnologie, risorse e strutture per mettere a punto un trattamento che non avrebbe un ritorno economico perché i malati da curare sono troppo pochi?”
In questa prospettiva al meeting avrà il suo battesimo il “San Raffaele Rett Research Center”, un laboratorio nato dalla collaborazione tra pro RETT ricerca, Università dell’Insubria e Fondazione San Raffaele del Monte Tabor di Milano, in cui ricercatori di base e clinici si dedicheranno esclusivamente alla sindrome di Rett. “Solo mettendo assieme un numero elevato di competenze diverse, nell’ambito di realtà scientifiche consolidate, si potrà arrivare a comprendere una malattia tanto complessa”, ribadiscono la Bernardelli e la Landsberger.
In Italia, si stima che le bimbe affette da sindrome di Rett siano tra le 2500 e le 3000: sul meeting si ripongono le speranze delle famiglie che la malattia possa essere tra le prime patologie neurologiche dell’infanzia ad essere sconfitta.
Al meeting, promosso dall’Università dell’Insubria e dall’associazione pro RETT ricerca Onlus, che raggruppa familiari di bambine malate, parteciperanno alcuni tra i maggiori esperti mondiali della malattia e del gene MECP2, il principale imputato.
“In questi ultimi anni la ricerca sulla sindrome di Rett ha fatto passi da gigante, forse come in nessun altra patologia nervosa”, dice Nicoletta Landsberger (a destra nella foto sotto), docente dell’Università dell’Insubria, coordinatrice scientifica del meeting. “Solo quindici anni fa la malattia era a malapena citata nei testi universitari: poi, nel ‘99 è stato scoperto il difetto di un gene molto importante, situato sul cromosoma X e implicato nella trascrizione genica e nello sviluppo delle comunicazioni tra i neuroni. Sono stati quindi portati alla luce meccanismi e funzioni della proteina codificata dal gene, difetti in un secondo, un terzo gene, e due anni fa si è riusciti, nell’animale, a far regredire i sintomi ripristinando il gene difettoso.”
Rita Bernardelli, presidente di pro RETT ricerca , sottolinea come tutto questo sia stato possibile grazie all’impegno delle associazioni di genitori, che in tutto il mondo stanno sostenendo e spingendo la ricerca. “Senza di loro la ricerca non si sarebbe avvicinata così tanto a una malattia rara come la sindrome di Rett, e mai avrebbe ottenuto questi risultati. Nell’ottica utilitaristica odierna, infatti, le malattie rare sarebbero destinate a non essere prese in considerazione: chi investirebbe in tecnologie, risorse e strutture per mettere a punto un trattamento che non avrebbe un ritorno economico perché i malati da curare sono troppo pochi?”
In questa prospettiva al meeting avrà il suo battesimo il “San Raffaele Rett Research Center”, un laboratorio nato dalla collaborazione tra pro RETT ricerca, Università dell’Insubria e Fondazione San Raffaele del Monte Tabor di Milano, in cui ricercatori di base e clinici si dedicheranno esclusivamente alla sindrome di Rett. “Solo mettendo assieme un numero elevato di competenze diverse, nell’ambito di realtà scientifiche consolidate, si potrà arrivare a comprendere una malattia tanto complessa”, ribadiscono la Bernardelli e la Landsberger.
In Italia, si stima che le bimbe affette da sindrome di Rett siano tra le 2500 e le 3000: sul meeting si ripongono le speranze delle famiglie che la malattia possa essere tra le prime patologie neurologiche dell’infanzia ad essere sconfitta.
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